Eppure di sangue, da pulire, ce ne sarebbe molto: imbratta i muri della scuola Diaz di Genova, il pavimento, le scale e, se si osserva bene, è anche lo stesso sangue che imbratta i manganelli delle squadre mobili della Polizia di Stato e dei Carabinieri.
Mi trema la mano quando prendo il telecomando per spegnere il televisore. Guardo mia sorella: piange, eppure è già la seconda volta che lo vede.
Il fatto è che non si può rimanere indifferenti davanti alle brutali immagini che per due ore si susseguono sullo schermo, non si può ma non ci si riesce nemmeno. Poco meno di vent’anni fa, a poco più di cento chilometri dalla stanza dove mi trovo ora, in un Liceo, sono stati massacrati senza pietà e senza giustificazione 93 attivisti, di cui 61 necessiteranno di cure ospedaliere.
Fonte: YouTube
Il film incomincia mostrando le immagini delle manifestazioni pacifiche tenutesi durante il G8 di Genova. Tra i manifestanti che alzano le bandiere della pace, che cantano, che marciano insieme, si sentono delle urla, si vede qualcuno che scappa. Poi una macchina prende fuoco, alcune figure, incappucciate, incominciano a correre: sono black bloc; subito dietro la Polizia ed i Carabinieri. La tensione non è solo percepibile, è intensa e violenta e lo è, in particolar modo da quando, il giorno prima, il ventitreenne Carlo Giuliani è stato ucciso, colpito da un colpo d’arma da fuoco. Non sono solo tesi i giovani che seminano paura tra la folla, ma lo sono anche i Corpi di Stato, scalpitano ma non sanno bene cosa fare.
Poi un’altra scena: una macchina dei Carabinieri passa davanti alla scuola Diaz dove giovani provenienti da tutto il mondo alloggiano e sostano la notte. Vengono caricati, insultati e volano bottiglie: è quello che basta per intervenire.
"Io i miei non li tengo più", è una delle frasi pronunciate da uno degli agenti ai superiori che organizzano l’operazione. Ma non è abbastanza, non ha importanza. L’irruzione avviene poco prima della mezzanotte; Anselmo (Renato Scarpa), un anziano militante della CGIL si prepara per andare a dormire, Luca (Elio Germano) un giornalista della Gazzetta di Bologna, fa lo stesso; Alma (Jennifer Ulrich) invece è ancora in piedi e lavora, cerca di rintracciare i ragazzi che le famiglie, lontane, non riescono più a contattare in una Genova lambita dalle fiamme. Entrano spaccando porte e finestre, e non si fermano davanti alle urla, alle mani alzate in segno di resa, non si fermano davanti a sacchi a pelo immobili nella palestra e non si fermano neanche quando il sangue inizia a scorrere, ovunque.
Poi un Carabiniere, Max (Claudio Santamaria), urla di smetterla, di uscire, subito e velocemente. Penso, però che la sua voce sia arrivata troppo tardi e le grida di terrore mi rimbombano ancora nelle orecchie. A queste poi, ne seguiranno altre che mi faranno rabbrividire ancora una volta, perché l’incubo non è finito, e in caserma le violenze continuano, spietate ed umilianti. Mi fanno pensare che chi è stato portato in ospedale, per le ferite troppo gravi, sia stato il vero fortunato.
Il peso che sento nello stomaco si alleggerisce un pochino, quando qualche giorno dopo, alla caserma di Bolzaneto, finalmente le brutalità si interrompono. Solo allora, Alma e gli ultimi manifestanti sono liberi. Lei guarda Marco (Davide Iacopini), amico e attivista che non ha fatto altro se non cercarla freneticamente negli ultimi giorni e coprendo la bocca sfigurata dalle percosse, piange.
Il colpo più doloroso arriva però alla fine: leggo le frasi che precedono i titoli di coda e chiudo gli occhi. La pelle di quegli uomini porta i segni di un abominio che non ha volti, non ha nomi, non ha codici. Come puoi incolpare l’uomo che ti ha colpito se è uguale ad altri mille?
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