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Nora Diofili

Pieces of a woman

Il corpo di una madre, il sangue e poi la vita. La vita e la morte.

Non riesco a guardare, e devo tapparmi le orecchie per non sentire quel dolore.

La telecamera mi guida per la prima mezz’ora tra le stanze della casa dove Martha, la protagonista, ha deciso di far nascere la sua bambina.

Prima, l’attesa: sulla sedia a dondolo aspetto con lei che le acque si rompano.

Poi, il dolore: contrazioni e tenerezza. Sean, il compagno, il padre, entra in scena; la decisione del parto in casa è condivisa, stanno aspettano che arrivi l’ostetrica: l’imprevisto. La persona che avevano scelto per far nascere la loro figlia è impegnata, e propone una sostituta.

Inizia una nuova fase: l’impotenza. La bambina sta nascendo e i genitori devono accontentarsi di una seconda scelta. Questo cambio di programma sembra inizialmente irrilevante ai miei occhi di spettatrice ignara, non ne comprendo la sua rilevanza nella trama sino alla sequenza successiva: la nascita. I gemiti della bambina sono acuti, mi coinvolgono e mi tranquillizzano, ma solo per un minuto. L’ostetrica inizia a dire che qualcosa, nel battito cardiaco della neonata, non va ed è necessario chiamare l’ambulanza: la perdita. Lo schermo diventa nero e viene mostrato il titolo, “Pieces of a woman”, ed è da ora che Martha si sgretola in mille pezzi.


Fonte: Youtube


Ha un corpo che mostra i segni di una gravidanza: perde sangue, cammina in modo faticoso per le lacerazioni dovute al parto e dal seno le esce il latte.

La sua mente invece deve convivere con un vuoto, l’impotenza della perdita della sua bambina.

Di chi è la colpa di quello che è successo? La ricerca di una giustizia diventa il centro della storia: Sean e la madre di Martha, Elizabeth, colpevolizzano l’ostetrica, hanno bisogno di un capro espiatorio ed assumono un avvocato che li guidi in questa battaglia legale.

Mentre Martha deve gestire i pezzi di sé, cercando di capire il senso di quello che le è capitato, sopportando il peso dello sguardo altrui, di sua madre, del suo compagno, occhi impietositi e giudicanti allo stesso tempo. Le parole inopportune di chi la incontra e le volontà di chi, con lei, è protagonista degli eventi: inizia la vergogna di aver perso una sfida, quella della maternità.

Elizabeth, ebrea sopravvissuta ai nazisti, dice di sapere cosa significhi combattere per la vita, saper resistere per sé stessi e per i propri figli, e rimprovera la figlia per il suo mancato sforzo. Parla di ciò che «è giusto fare» per evitare che sia Martha «ad essere giudicata dagli altri, dalla gente».

Maternità incompiuta è sinonimo di fallimento?

Fonte: Youtube


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