Roma, 2009.
Alessandro Borghi si cala magistralmente nelle vesti del geometra Stefano Cucchi, 31 anni e arrestato per spaccio di stupefacenti. Il film ci riporta agli ultimi sette giorni della sua difficile vita, quasi una personale via Crucis.
Morire mentre si è nelle mani dello Stato, in custodia cautelare al Regina Coeli, non dovrebbe essere ammesso; la trasposizione cinematografica di questo dramma lo fa comprendere, trasmette il gelo, pur evitando particolari interventi esterni, senza alcuna invenzione né artificio televisivo. La visione che viene proposta è oggettiva, si basa su quello che dicono le carte e i processi, restituendo un animo umano ad un ragazzo romano che non dovrebbe essere morto.
Cucchi non viene proposto come un martire, né come un innocente: allo spettatore arriva l'incomprensibile storia di un colpevole che non ha potuto pagare la giusta pena, pur senza mostrare scene di pestaggi e violenze da parte degli uomini in divisa; viene mostrata la storia di un ragazzo carente di ascolto, di un uomo massacrato da servitori dello Stato.
Fonte: Youtube
Alla fine del film la sensazione che rimane allo spettatore è quella di impotenza, di totale assenza di protezione, di rischio continuo, di diffidenza. Ancora, di vergogna per essere in parte complici di questo sistema, di questa società, che non comprende, non conosce il prossimo.
Quello che rimane, oltre al pugno nello stomaco, è la consapevolezza che non è la prima e non sarà l'ultima volta. Rimane il dubbio che la giustizia possa veramente compiere il suo percorso, che chi ha diffamato sia punito.
Rimane la certezza che la verità di quegli ultimi, drammatici giorni, la coscienza, il dolore per i pestaggi, le violenze psicologiche e fisiche, siano morte con Stefano Cucchi.
Che non è morto di epilessia.
Fonte: Youtube
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